Le diverse facce del jihadismo globale
di Andrea Plebani
Dopo i tragici fatti di Parigi, i recenti attentati di Bruxelles hanno chiarito anche ai più strenui sostenitori dell’idea di ‘fortezza Europa’ che il nostro continente non può guardare alla crisi che ha investito l’intero quadrante mediorientale come a un fenomeno distante, che possa essere relegato ai margini dello spazio politico, economico e culturale europeo. L’ascesa del cosiddetto ‘jihadismo globale’ ci investe, infatti, direttamente e rappresenta una realtà con la quale dovremo confrontarci per lunghi anni a venire.
Se prendere coscienza di questa minaccia è il primo passo per affrontarla in maniera efficace, è ancora più importante non cadere preda di facili allarmismi o farsi attirare da tendenze xenofobe che nulla possono se non favorire la visione dicotomica di cui si nutre il nemico. Un nemico che, come ben indicato dalle ultime relazioni sulla politica dell’informazione per la sicurezza, ha nella sua natura ibrida, nella multidimensionalità e nella costante tensione al mutamento i suoi tratti più caratterizzanti.
Sono questi i fattori che guidano il sedicente ‘Stato Islamico’ (IS) nella sua battaglia contro un ordine internazionale che esso rinnega, accusandolo di riflettere nient’altro che gli interessi di Washington e dei suoi alleati. Rispetto ad al-Qa‘ida, però, la lotta al ‘nemico lontano’ (ossia gli Stati Uniti) rappresenta solo una delle dimensioni del conflitto e, probabilmente, non la più rilevante. La sede naturale dell’azione dei ‘guerrieri neri’ rimane, infatti, la regione mediorientale intesa come culla e cuore pulsante della comunità islamica. è in quest’area che al-Baghdadi mira a ridar vita all’epoca d’oro dell’Islam, ricreando una sorta di ‘nuova Medina’ chiamata a ‘purificare’ la umma dall’interno e a cancellare confini e realtà statuali considerati niente più che espressione di un passato coloniale da superare. Un elemento, quest’ultimo, che si è palesato in maniera evidente nel momento in cui la leadership jihadista ha scelto di abbandonare un nome con un chiaro riferimento geografico (‘Stato Islamico in Iraq e al-Sham’) a favore di una denominazione libera da limiti territoriali. Uno ‘Stato Islamico’ presentato come unica forma di autorità legittima[1] e come modello da applicarsi in tutte le aree ‘liberate’[2].
In questo contesto, la campagna di attacchi lanciata dai ‘guerrieri neri’ su scala internazionale sembra rispondere più a logiche contingenti che a un totale cambio di strategia. L’escalation della violenza scatenata su Libano, Egitto, Turchia, Francia e Belgio, infatti, è coincisa con una fase storica particolarmente difficile per il ‘califfato’, che nel giro di pochi mesi ha perso una serie di roccaforti e territori di primaria importanza. Le sconfitte subite a Kobane (dicembre 2014), Tikrit (marzo 2015), Tal Abyad (giugno 2015), Sinjar (novembre 2015), Ramadi (dicembre 2015) e Palmira (marzo 2016) sono espressione di un movimento che ha visto collassare la propria aura di invincibilità e che è sempre più costretto sulla difensiva proprio nei territori che ha eletto a proprio heartland. Da questa prospettiva, pur senza negare la fortissima ostilità da sempre espressa da IS nel confronti del mondo occidentale, gli attacchi che hanno insanguinato Parigi e Bruxelles sembrano più volti a rinsaldare l’immagine del ‘califfato’ che a segnalare un completo sovvertimento delle logiche che ne hanno sin qui determinato le azioni. Una prova ulteriore di una realtà che ha fatto della flessibilità e della sua capacità di adattamento le sue armi migliori.
Se IS rappresenta la formazione più rilevante della galassia jihadista, questo non si esaurisce però all’interno del gruppo di al-Baghdadi. Essa presenta un grado di differenziazione interna ben più significativo di quanto generalmente ritenuto, nascondendo tra le sue pieghe posizioni, agende e impostazioni dottrinali spesso fortemente divergenti. Una pluralità che emerge in maniera evidente non solo laddove si esaminino le posizioni tutt’altro che coincidenti di IS e al-Qa‘ida[3], ma soprattutto nel momento in cui si abbandoni una prospettiva appiattita sul solo contesto attuale e si decida di esaminare il fenomeno a partire dalle sue origini. Uno sforzo che, lungi dal riservare risultati confinati al solo ambito accademico, evidenzia i contorni di una galassia jihadista che, sebbene in continua evoluzione, presenta punti di contatto fortissimi con un passato che non è mai stato rinnegato.
Note
(ultimo accesso ai link indicati: 16 maggio 2016)
[1] Si veda, in particolare, la dichiarazione del giugno 2014 nella quale il portavoce di IS enuncia le posizioni del gruppo nei confronti delle altre forme di autorità esistenti: «noi chiariamo a [tutti] i musulmani che con questa dichiarazione del califfato, è obbligatorio per ognuno di loro giurare fedeltà al califfo Ibrahim e sostenerlo […]. La legalità di tutti gli emirati, gruppi, stati e organizzazioni diventa nulla con l’espansione dell’autorità del califfato e l’arrivo delle sue forze nelle loro aree». SITE, ISIS Spokesman Declares Caliphate, Rebrands Group as ‘Islamic State’, 29 giugno 2014, https://news.siteintelgroup.com/Jihadist-News/isis-spokesman-declares-caliphate-rebrands-group-as-islamic-state.html
[2] Non a caso le formazioni accolte all’interno di IS diventano province (wilaya) e, a differenza dell’impostazione qaidista, non vengono presentate come semplici nodi regionali del gruppo.
[3] Si veda Aaron Zelin, The War between ISIS and al-Qaeda for Supremacy of the Global Jihadist Movement, The Washington Institute for Near East Policy, Research Notes, n. 20, 2014, http://www.washingtoninstitute.org/uploads/Documents/pubs/ResearchNote_20_Zelin.pdf.
L’autore
Andrea Plebani è assegnista di ricerca presso la Facoltà di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ed è professore a contratto di Storia delle Civiltà e delle Culture Politiche presso la sede di Brescia. È Associate Research Fellow presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e collabora al progetto “Conoscere il meticciato, governare il cambiamento” promosso dalla Fondazione OASIS. Prima di ricoprire tali incarichi ha collaborato con l’Insubria Center on International Security (ICIS) e il Landau Network-Centro VOlta (LNCV) in qualità di program manager.
Categoria: Approfondimenti