Gli strumenti dell’analista. Tecniche analitiche e loro critici
di Matteo Faini
Abstract
Gli strumenti più utilizzati da chi lavora per i servizi segreti non sono affatto segreti. Sono invece a disposizione di chiunque abbia la pazienza di leggersi un libro[1] o, in mancanza di tempo, anche solo un articolo[2]. Questi strumenti non sono quelli che servono per reclutare e gestire una spia. Al riguardo conosciamo qualche principio generale, come le ragioni che solitamente spingono una persona a spiare contro il proprio gruppo di appartenenza. Ma nessuna agenzia entrerà mai nel dettaglio rivelando come comunica con i propri informatori in territorio ostile. Tuttavia, solo una piccola parte di chi lavora per un’agenzia d’intelligence si troverà mai a reclutare una spia. La maggior parte invece farà un lavoro più simile a quello di un accademico che non a quello di un agente sotto copertura, utilizzando strumenti di analisi che tutti possiamo adottare.
Per capire gli strumenti dell’analista, dobbiamo prima metterci nei suoi panni. Quotidianamente arriva sulla loro scrivania una mole difficilmente gestibile di informazioni, la maggior parte da fonti aperte, in primis la stampa. Un’altra parte arriva invece da fonti riservate, da quanto hanno raccolto i nostri agenti sul terreno, dai dispacci diplomatici, da quanto hanno deciso di condividere agenzie d’intelligence amiche o presunte tali. Il compito dell’analista è quello di assorbire queste informazioni, capire quanto vi sia di vero, di fuorviante e di falso. E poi scrivere, nel modo più breve e semplice possibile, un rapporto che spieghi a un decisore politico, con troppi impegni in agenda, quale sia la situazione strategica e quali i suoi possibili sviluppi. Per fare tutto ciò, è necessario avere degli strumenti che consentano di superare o quantomeno mitigare i difetti cognitivi, di fare analisi trasparenti e replicabili e di fare il tutto lavorando in collaborazione con gli altri.
Le tecniche analitiche strutturate, e presentate nella prima parte di questo articolo, sono state sviluppate negli ultimi 15-20 anni proprio per rispondere a queste esigenze e sono oggi usate da molte agenzie di intelligence, non solo occidentali. La seconda parte di questo articolo spiega cosa esse siano, dando anche qualche esempio. La terza parte discute delle crescenti critiche che, negli ultimi anni, sono state mosse a queste tecniche. La quarta parte conclude spiegando che, pur con tutti i loro difetti, sarebbe sbagliato fare a meno delle tecniche analitiche strutturate, e propone invece di integrarle con metodi predittivi che hanno dato prova di essere assai accurati.
[1] R. Heuer – R. Pherson, Structured Analytic Techniques, CQ Press, Los Angeles 2015
[2] US Government, A Tradecraft Primer: Structured Analytic Techniques for Improving Intelligence Analysis, pubblicato online nel marzo 2009, https://www.cia.gov/library/center-for-the-study-of-intelligence/csi-publications/books-and-monographs/Tradecraft Primer-apr09.pdf
Keyword: tecniche strutturate, bias cognitivi
Gli strumenti dell’analista. Tecniche analitiche e loro critici (PDF 255 kB)
L’autore
Matteo Faini ha recentemente completato un PhD in Politics all’Università di Princeton, con una tesi sui rapporti tra agenzie di intelligence e decisori politici. È Max Weber Fellow allo European University Institute. È autore, tra gli altri, di The US Government and the Italian Coup Manqué of 1964: The Unintended Consequences of Intelligence Hierarchies (pubblicato in «Intelligence and National Security»).
Per il nostro sito ha scritto anche Capire le intenzioni del nemico, Machiavelli analista di intelligence, Sherman Kent e il ruolo dell’intelligence nel processo di policy, “Lo sai tenere un segreto?” e L’intelligence, le scimmie e la sfera di cristallo.
Categoria: Approfondimenti