Dalla SocMInt alla Digital HumInt
di Marco Lombardi, Alessandro Burato e Marco Maiolino
Abstract
Il terrorismo è cambiato radicalmente in questi anni. La dimensione tecnologica ha avuto un peso rilevante nel mutamento, in particolare quella della comunicazione collegata all’uso dei social media. L’articolo affronta, e critica, l’approccio della Social Media Intelligence (SocMInt) ricomponendo, nella nuova proposta della Digital HumInt, la tensione emersa tra l’approccio ‘human’ e ‘social’ (intelligence). La Digital HumInt costituisce un approccio metodologico che, sulla base di specifiche competenze settoriali fondate sul connubio fra quelle ‘human’ e ‘social’, ossia declinate in ambito reale o virtuale, elabora le informazioni provenienti dalla HumInt e della SocMInt in una prospettiva unitaria e concorrente.
Un articolo più approfondito e dettagliato sull’argomento è stato pubblicato sul numero 2/2016 della rivista GNOSIS.
Tratto, per gentile concessione degli autori e dell’editore, dal n. 2/2015 di «Sicurezza, terrorismo e società»
© EDUCatt – Ente per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università Cattolica
Gli autori
Marco Lombardi è professore di sociologia, comunicazione e crisis management all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Coordina il centro di ricerca ITSTIME che studia il fenomeno del terrorismo monitorando la comunicazione e producendo analisi.
Alessandro Burato è ricercatore senior e Marco Maiolino è ricercatore presso ITSTIME.
Fin dalla loro comparsa come medium di interazione di massa nei primi anni del 2000, i social media sono rapidamente diventati una preziosa fonte di informazioni per ricercatori di tutti i campi. Le persone spendono sempre più tempo della loro vita su piattaforme come Facebook, Twitter, Instagram, ecc. Attraverso questi social media, il web è diventato uno spazio in cui gli utenti possono rappresentare loro stessi, interagire in diversi modi e produrre e consumare costantemente informazione.
Diversi sono gli aspetti che intervengono simultaneamente a rendere l’argomento degno di un approfondimento in termini di possibile utilizzo da parte dell’intelligence. Il primo e fondamentale elemento riguarda la moderna concezione delle identità reali e virtuali[1], non da concepirsi come separate ed indipendenti ma, al contrario, come estremamente interdipendenti e capaci di influenzare relazioni, motivazioni e azioni individuali ugualmente nello spazio virtuale e in quello reale. Una relazione, questa, non ancora del tutto esplorata riguardo agli aspetti di ordine e sicurezza e che evidenzia importanti lacune in ambito legislativo[2]. Inoltre, sebbene sia forte la necessità di rinnovare il sistema di intelligence[3], a seguito principalmente dai fallimenti avvenuti in Afganistan e Iraq[4], ancora si stenta a integrare nell’analisi delle informazioni provenienti dai social media, e in generale, dalle altre fonti di raccolta dati, le scienze sociali e più precisamente i processi umani. Tali processi si fondano sempre più su sistemi di relazione che si attuano anche nel web 2.0, e sono ormai un elemento fondamentale per sviluppare una efficace comprensione e prevenzione delle nuove minacce, costantemente in evoluzione.
Questo cambio di approccio e prospettiva sulle modalità di utilizzo e interpretazione dei dati che vengono raccolti dai social è infatti necessario per adeguare concetti, pratiche di sicurezza e di difesa alle sfide poste dalla Guerra Ibrida, una guerra diffusa, pervasiva e delocalizzata che è la cifra della moderna generazione di conflitti che superano il classico e geograficamente definito ingaggio di eserciti rivali, integrando una estrema liquidità alla presenza di nuovi attori ed innovativi campi di battaglia: «a sophisticated campaign that combine low-level conventional and special operations; offensive cyber and space actions; and psychological operations that use social and traditional media to influence popular perceptions and international opinions»[5].
Da una prospettiva legata all’intelligence, i social media hanno quindi la potenzialità di essere altamente importanti: più le nostre vite si collegano alla rete, più le nostre identità reali e virtuali si fondono, più informazioni rilevanti vengono condivise e sono quindi rintracciabili per elaborare analisi che siano le più complete possibili.
La Social media intelligence, o SOCMINT come è stata definita[6], è la più recente componente del ciclo di intelligence che si concentra sulla raccolta e l’analisi delle informazioni che vengono prodotte e scambiate attraverso i social media. A ogni modo, sebbene il potenziale della SOCMINT si riconosciuto, gli analisti e i professionisti di intelligence spesso criticano l’assenza di una strategia, di una dottrina o di pratiche assodate sull’utilizzo di questo strumento di analisi. Il cambiamento dinamico del panorama che caratterizza l’ambito legato ai social media rende infatti necessario un approccio flessibile, in grado di adattarsi sia ai cambiamenti tecnologici che alla cultura legata all’utilizzo degli stessi. È infatti condivisa la posizione secondo cui non esista un prototipo definito di utilizzo di questa disciplina che deve invece rivolgersi le seguenti domande: su quale piattaforma sta avendo luogo la conversazione? Qual è la natura dell’interazione? Qual è l’oggetto della ricerca? Domande che, attraverso le loro risposte, definiscono la natura strumentale della disciplina che non può prescindere da una visione più ampia, che coniughi il processo di analisi puntale delle informazioni con una contestualizzazione sociologica attraverso un processo sintetico che abbiamo definito DIGITAL HUMINT, connubio fruttuoso tra la pratica della Humint (Human Intelligence), parte costituente a pieno titolo e sin dalla sua origine del ciclo di intelligence, e l’approccio legato alle nuove fonti social.
In questa nota si citeranno solo alcune delle peculiarità comuni ai due ambiti per sottolineare le motivazioni della scelta, e dall’utilità, di una visione olistica dei singoli strumenti in una nuova disciplina, la DIGITAL HUMINT appunto.
Real world vs digital world?
Esiste davvero una contrapposizione tra il mondo digitale e quello reale? Se così fosse, a ragione, gli strumenti della SOCMINT e della HUMINT andrebbero considerati come declinati, il primo per occuparsi del mondo digitale, con le sue regole e le sue particolarità, e il secondo per il vero lavoro di intelligence, quello che ha a che fare con le persone e quindi porta a pezzi di informazioni più “autorevoli’ e più facilmente ‘processabili’ attraverso canali ormai rodati da parte dei servizi di informazione.
Aspetti, definiamoli pure sociali, come la rappresentazione, la comunità e l’interazione sono caratteristici della vita reale comune di chiunque, anche se (ormai la letteratura a riguardo ne è convita) definiscono anche tanto profondamente il comportamento on-line delle stesse persone che ugualmente sentono la necessità di creare una rappresentazione di sé nel mondo nel quale sono inseriti (reale o virtuale), di stringere legami con chi gli sta attorno (reali o virtuali), di interagire con coloro con i quali condivide esperienze (reali o virtuali).
La rappresentazione: sei veramente chi vuoi far credere di essere?
Ammesso che nel mondo virtuale sia difficilmente raggiungibile una situazione di completo anonimato[7], la rappresentazione di sé avviene in due momenti distinti: all’atto dell’apertura di un profilo (rappresentazione statica) e attraverso la costruzione progressiva dei contenuti che ‘popolano’ il profilo stesso (rappresentazione dinamica). L’analisi delle due rappresentazioni, specie nelle loro discrepanze, è in grado di fornire elementi interessanti per l’elaborazione di un’analisi che tenga conto anche degli aspetti sociologici e non meramente dei dati aggregati circa le impostazioni dell’account o delle rilevazioni delle preferenze dell’utente.
Come di fatto dimostrato da alcune ricerche, esistono diversi ambiti in cui le inferenze deducibili dalla semplice analisi statistica non si dimostrano essere pienamente fondate: Kosinski, Stillwell e Graepelb[8] hanno analizzato i like di Facebook di circa 58.000 volontari nel tentativo di analizzare la tipologia di informazioni che possono essere estratte da questa analisi e le inferenze che possono essere fatte dai dati raccolti. Raccogliendo una media di 170 like per ognuno dei partecipanti alla ricerca, lo studio ha dimostrato un’accuratezza nell’inferenza, a esempio, dell’etnia (Caucasico/Afroamericano) e del genere (Uomo/Donna) anche se ha evidenziato una carenza nella capacità di inferire sull’uso di alcool o droghe da parte degli utenti, comportamenti, tra l’altro, che fortemente risultano essere influenzati da una dimensione ‘sociale’.
Altro strumento altamente significativo per la rappresentazione di sé è l’uso e la scelta del linguaggio: come per il mondo reale, la condivisione anche online di un codice comunicativo è significativa dell’appartenenza a un determinato gruppo. Tutto questo è supportato dai risultati di diverse ricerche che hanno mostrato come l’utilizzo di determinate parole sia in grado di rivelare molto di più della personalità di un utente di quanto egli stesso possa immaginare[9].
Le comunità: creare e ricreare il proprio gruppo
L’individuo è un ‘animale sociale’ e per questo si caratterizza come all’affannosa ricerca di intessere legami con altri individui. La letteratura relativa alla definizione di ‘comunità’ in ambito virtuale ancora dibatte su quali siano le discriminanti perché un gruppo si possa definire tale. Ai nostri scopi è sufficiente che sia riconosciuto che per esistere una comunità coloro che la formano devono interagire tra di loro secondo delle norme condivise, una cultura digitale comune o altre caratteristiche rilevanti.
È evidente che aspetti come le modalità di creazione delle comunità on-line, il loro sistema di relazioni e la loro tipologia possono essere diversi rispetto a quelli che definiscono comunità o gruppi tradizionali. L’analisi delle comunità virtuali, quando volta a comprendere le motivazioni di appartenenza dei singoli individui, non può prescindere da considerazioni che riguardino questi aspetti. Per esempio, è necessario precisare ed essere consapevoli che esistono social pensati appositamente per ricreare una specie di copia della comunità reale (Facebook) e altri che invece creano gruppi che non hanno nessuna, se non minima, trasposizione effettiva e vera nel mondo reale. E’ proprio lo studio di queste comunità virtuali, a volte fortemente coese e con un alto grado di identificazione, spirito di appartenenza e condivisione delle finalità tra i propri membri, uno degli aspetti più complessi da affrontare ma al contempo altamente significativo che deve essere ricompreso nell’analisi della SOCMINT[10].
L’interazione
Se con il termine interazione si intende tutto ciò che permette agli utenti di entrare in contatto l’uno con l’altro, condividere informazioni o collegarsi in qualche modo, nel momento in cui le persone decidono di entrare in contatto con altri individui nel mondo offline, esistono limitate possibilità di scelta circa gli strumenti per farlo: chiamare l’altro, mandare una lettera, presentarsi, ecc. Nel mondo online, strumenti come i retweet, i like, i preferiti e le condivisioni sono stati adattati per facilitare un insieme complesso di metodi indiretti di interagire con un individuo.
Boyd, Goldern e Lotan[11] hanno condotto una ricerca circa le motivazioni per cui gli utenti utilizzano questo strumento:
- amplificare o diffondere il messaggio al pubblico,
- intrattenere o informare un pubblico specifico,
- commentare un tweet ri-postandolo e aggiungendo nuovi contenuti,
- dimostrare la propria presenza come un ascoltatore,
- dimostrare pubblicamente il proprio consenso,
- convalidare il pensiero altrui,
- dimostrare amicizia e/o fedeltà richiamando l’attenzione, spesso anche chiedendo di ri-postare,
- conferire maggior visibilità o persone o contenuti poco visibili,
- aumentare il proprio numero di contatti da un utente più visibile.
Dal punto di vista del processo di intelligence, in riferimento all’analisi dei profili individuali risulta assai interessante il tema della dimostrazione di amicizia e/o fedeltà. Utenti che vogliono rendere pubblica l’influenza che altri hanno su di loro, che vogliono dimostrare la loro stima nei confronti di individui dei quali condividono opinioni, spesso ri-postano questi contenuti per dimostrare tutto ciò in maniera indiretta. Questo rapporto, che non prevede un contatto diretto, incoraggia gli utenti a utilizzare gli strumenti della condivisione o del retweet scevri dal sentimento sociale dell’imbarazzo: la condivisione, infatti, rappresenta un’opzione a basso-rischio per interagire con un altro utente, con il quale probabilmente altro tipo di interazione sarebbe stato impossibile.
Complici di questi comportamenti sono due teorie distinte: l’observation effect e il disinibition effect. Il primo fenomeno, noto anche come il paradosso dell’osservatore, si verifica quando gli eventi in una determinata situazione che si vuole indagare risentono della presenza dell’osservatore. Gli utenti dei social network, nel momento in cui hanno la percezione di essere osservati, possono reagire cambiando il proprio comportamento online o nascondo informazioni interessanti ai fini dell’analisi[12]. Il secondo invece, riguarda il cambiamento di comportamento che viene assunto online dagli utenti che, avendo percezione di anonimato e non dovendo interagire faccia-a-faccia con il destinatario della loro azione comunicativa, tendono ad interagire di più e ad assumere toni anche più accesi di quelli che verrebbero utilizzati in caso di comunicazione offline[13].
Conclusione
Le considerazioni riportate nell’articolo sono solo alcune di quelle necessarie affinché lo strumento della SOCMINT, efficace in termini di metodologia per la raccolta di ‘pezzi di intelligence’ dal mondo virtuale, possa essere ricompreso in una disciplina più ampia in grado di contestualizzare meglio, sia in termini di efficacia che si comprensibilità, le sue potenzialità.
L’identificazione delle aree di interesse sulle quali focalizzare la propria indagine raggiunta grazie alla SOCMINT deve infatti arricchirsi della consapevolezza che non esiste una netta distinzione tra mondo reale e virtuale in termini di rappresentazione di sé e senso di appartenenza. Vanno dunque fuse la SOCMINT e la HUMINT favorendo la nascita della loro sintesi in una nuova disciplina: la DIGITAL HUMINT.
Note
(Ultimo accesso a tutti i link indicati: 6 giugno 2016)
[1] S. Tosoni, Identità Virtuali: Comunicazione mediata da computer e processi di costruzione dell’identità personale, Franco Angeli, Milano 2004; J. Grimmelmann, Virtual Borders: The Interdependence of Real and Virtual Worlds, 2006, http://pear.accc.uic.edu/ojs/index.php/fm/article/view/1312/1232; A. Peachey, M. Childs, Reviewing Ourselves: Contemporary Concepts of Identity in Virtual Worlds, Springer, 2011.
[2] Tali lacune si riferiscono a processi giudiziari avventi in Italia, Germania, Paesi Bassi ed altre realtà nazionali europee, a seguito dei quali estremisti islamici sono stati rilasciati perché i processi di radicalizzazione on-line, definite come mero simpatizzare, e le prove relative alle attività effettuate da questi ultimi nel cyber spazio non costituiscono offesa per le varie legislazioni nazionali in questione.
[3] R.R. Tomes, Informing US National Security Transformation Discussions: An Argument for Balanced Intelligence, Surveillance and Reconnaissance, Defence Studies, Vol. 3, no. 2, 2003; R.R. Tomes, Toward a Smarter Military, Socio-Cultural Intelligence and National Security, in «The US Army War College Quarterly Parameters», Contemporary Strategy and Land-power, Vol. 45, no. 2, 2015, http://www.strategicstudiesinstitute.army.mil/pubs/Parameters/Issues/Summer_2015/9_Tomes.pdf; US Defense Science Board Task Force, Understanding Human Dynamics, Office of the Under Secretary of Defence for Acquisition, Technology and Logistic, Washington DC 2009.
[4] M.T. Flynn, M. Pottinger, P.D. Batchelor, Fixing Intel: a Blueprint for Making Intelligence Relevant in Afghanistan, Voices from the Field, Centre for a New American Security, 2010.
[5] E. Hunter, P. Pernik, The Challenges of Hybrid Warfare, International Centre for Defence and Security, Tallin 2015, http://www.icds.ee/fileadmin/media/icds.ee/failid/Eve_Hunter__Piret_Pernik_-_Challenges_of_Hybrid_Warfare.pdf.
[6] D. Omand, J. Bartlett, C. Miller, Introducing Social Media Intelligence (SOCMINT). Intelligence and National Security, vol. 7, n. 6, 2012, p. 801-823.
[7] N. Lapidot-Lefler, A. Barak, Effects of anonymity, invisibility, and lack of eye-contact on toxic online disinhibition, Computers in Human Behaviour, vol. 28, n. 2, 2012.
[8] M. Kosinski, D. Stillwell, T. Graepel, Private Traits and attributes are predictable from digital records of human behavior, in Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 2013, vol. 110, n. 15, http://www.pnas.org/content/110/15/5802.full.
[9] C. Sumner, A. Byers, R. Boochever, G.J. Park, Predicting Dark Triad Personality Traits from Twitter usage and a linguistic analysis of Tweets, in Proceedings of the IEEE 11th International Conference on Machine Learning and Applications, ICMLA 2012, https://www.onlineprivacyfoundation.org/research_/Sumner_Predicting_Dark_Triad_Traits_from_Twitter_Usage_V5.pdf.
[10] S. Benthall,“Weird Twitter” art experiment method notes and observations, Digifesto, 2012, http://digifesto.com/2012/10/18/weird-twitter-art-experiment-method-notes-and-observations/.
[11] D. Boyd, S. Golder, G. Lotan, Tweet, Tweet, Retweet: Conversational Aspects of Retweeting on Twitter, in Proceedings of the 43rd Hawaii International Conference on System Science, 6 febbraio 2010, http://www.danah.org/papers/TweetTweetRetweet.pdf.
[12] P.P. Heppner, B.E. Wampold, D.M.Kivlighan, Research Design in Counselling, Thomson Higher Education, Belmont 2007.
[13] Lapidot-Lefler, Barak, Effects of anonymity, invisibility, and lack of eye-contact on toxic online disinhibition, cit.
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