
di Dario Antiseri e Adriano Soi
Intelligence e metodo scientifico è una riflessione epistemologica sul modo in cui l’intelligence trasforma la “notizia” – prodotto di base della sua attività – in “conoscenza”.
Si tratta di una linea di ricerca già sviluppata in altri Paesi, a cominciare dagli USA, ma nuova per l’Italia.
In uno Stato di diritto, in una Repubblica democratica come la nostra, i compiti dell’intelligence si identificano nella ricerca, acquisizione ed elaborazione di informazioni utili per la difesa delle Istituzioni poste dalla Costituzione a presidio della libertà di ogni cittadino e dell’intera collettività nazionale.
Per dirla con Karl Popper, oggi come ieri “il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza”.
Oggi la vigilanza è sempre più complessa e impegnativa, perché minacce insidiose vengono dal cyber spazio così come dalle oscure filiere del terrorismo, aggredendo non solamente la sicurezza di istituzioni e cittadini ma gli interessi economici, scientifici e industriali del nostro Paese, vale a dire il patrimonio tecnologico e le capacità di ricerca, innovazione e sviluppo delle aziende italiane.
Ciò richiede l’impiego di risorse umane e tecnologiche qualitativamente commisurate alla gravità dei rischi.
Il compito principale degli Organismi di intelligence è quello di fornire al decisore politico di governo “informazioni”, cioè conoscenze utili per le decisioni finalizzate alla salvaguardia dell’indipendenza dello Stato e degli interessi nazionali.
E poiché conoscenze valide sono ottenibili solo per mezzo della procedura che va sotto il nome di “metodo scientifico”, abbiamo dedicato la prima parte del nostro studio alla esplicitazione delle regole di tale metodo, in una dichiarata concezione fallibilista della scienza, secondo cui l’uomo è razionale perché vuole imparare dai propri errori come da quelli altrui.
Con ciò si intende che tutta la ricerca scientifica (in fisica e in storiografia, in biologia come in economia, in chimica come nell’interpretazione o nella traduzione di un testo) si risolve in tentativi di soluzione di problemi attraverso ipotesi da sottoporre al più rigoroso controllo, nella chiara consapevolezza che anche l’ipotesi confermata dovrà restare “sempre sotto assedio”.
È di Popper l’insegnamento per cui l’errore commesso, individuato ed eliminato, «è il debole segnale rosso che ci permette di venir fuori dalla caverna della nostra ignoranza»; fu Oscar Wilde a dire che «esperienza è il nome che ciascuno di noi dà ai propri errori».
Se ci confrontiamo con un problema difficile, è facile che sbaglieremo. Quel che è importante è, appunto, saper apprendere dagli errori commessi.
Il lavoro si apre con la ricostruzione di un episodio di storia della medicina, la scoperta delle cause della febbre da parto ad opera di Ignaz Ph. Semmelweis, e poi, sulla scia dell’epistemologia di Karl Popper e Charles S. Peirce e della teoria ermeneutica di Hans Georg Gadamer, offre motivazioni e argomenti per una teoria unificata del metodo, sulla base dell’ormai dimostrata identità tra il “procedimento per trial and error”, il “processo abduttivo” e il “circolo ermeneutico”, in una prospettiva fallibilista della scienza,
Diceva Pierre Duhem che fare l’analisi logica di un principio fisico significa farne l’analisi storica. E un’analisi logica storicamente orientata dei nodi concettuali del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica viene sviluppata nel quarto capitolo: dagli slittamenti semantici del termine intelligence alle fasi del “ciclo dell’intelligence”, vale a dire del complesso delle attività necessarie per soddisfare il fabbisogno informativo indicato dal decisore politico, fino alla valutazione, da parte di quest’ultimo, della rispondenza dell’informazione ricevuta alle proprie aspettative.
Ci si occupa quindi in dettaglio delle attività che vengono complessivamente definite “elaborazione”, a seguito delle quali la “notizia” viene trasformata in una “informazione per la sicurezza”.
In tale ambito, si dedica particolare attenzione al segmento del ciclo dell’intelligence, che consiste in attività di evidente natura ermeneutica – come traduzioni, trascrizioni e decrittazioni – per mezzo delle quali il dato informativo originario assume la forma di una notizia scritta e intelligibile. L’affidabilità dei risultati di questo complesso lavoro dipende esclusivamente dalla corretta comprensione e messa in atto del procedimento scientifico denominato “circolo ermeneutico”, cui abbiamo prima fatto riferimento.
Questo è uno dei temi di maggiore peso affrontati nel capitolo conclusivo, dove le attività degli operatori dell’intelligence, esaminate alla luce della concezione fallibilista epistemologico-ermeneutica, appaiono con tutta chiarezza come attività di un’autentica disciplina scientifica.
L’affidabilità di una “fonte informativa”, la determinazione del grado di fondatezza di una notizia in sé, la coerenza di una notizia con il patrimonio informativo accumulato e accettato per valido, le motivazioni della scelta tra ragionevoli spiegazioni contrastanti sono tutti argomenti di evidente natura epistemologica, così come lo è l’analisi critica della matrice usata per la valutazione delle notizie, alla quale è finalizzata la trattazione di tali questioni, nella consapevolezza della piena applicabilità del metodo scientifico all’attività di produzione di conoscenza sviluppata nell’ambito di quelle “comunità di ricerca” che sono gli Organismi informativi, perennemente alle prese con una realtà dove “nulla è come sembra”.
Una realtà che ogni giorno si incarica di confermare come l’oggettività della ricerca si identifichi con la controllabilità dei suoi risultati e che, pertanto, ogni teoria, ogni conoscenza, anche la più consolidata, non può venir dimostrata come assolutamente vera, perché l’asimmetria logica tra conferma e smentita fa sì che un solo fatto contrario, inatteso, distrugga convinzioni basate su molteplici conferme, proprio come Davide riuscì a sconfiggere Golia.
Si rende allora evidente, ad esempio, che è metodologicamente scorretto formulare ipotesi ad hoc per salvare una teoria traballante, e che gli stessi “fatti” sono ipotetiche asserzioni di osservazione, perché la mente del ricercatore, nel nostro caso l’analista di intelligence, non è una tabula rasa e perciò affronta i problemi in base alla sua “pre-comprensione” della realtà.
I fatti da soli sono muti e parlano soltanto se qualcuno ne sa raccontare la storia. Per farlo, più idee sono una ricchezza.